Kurt Browning: i primi anni nel mondo del pattinaggio

Kurt Browning è stato il portabandiera canadese alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Lillehammer del 1994

Kurt Browning è nato in Canada per caso. Il suo bisnonno paterno, Jasper Browning, nel 1906 si è trasferito in Canada dall’Oklahoma con i suoi cinque figli dopo essere rimasto vedovo. Un paio di volte è pure tornato indietro, ma alla fine si è fermato a vivere in Canada. Uno dei figli, Jack Browning, si è fermato a vivere vicino a Caroline, nell’Alberta, una cittadina che alla fine degli anni ’80 del secolo scorso contava 389 abitanti. Lì nel 1921 ha sposato Gladys Stewart, con la quale ha avuto tre figli: Arnold, Dick e Thelma. Per qualche strana ragione però Arnold non è mai stato chiamato così, e tutti lo hanno sempre conosciuto come Dewey. Che io realtà era il nome del suo cane.

Indiana Jones e l’ultima crociata, il terzo film che Steven Spielberg ha dedicato a Indiana Jones è del 1989. L’autobiografia da cui io sto prendendo queste informazioni Kurt. Forcing the Edge è del 1991, perciò a meno che Kurt non lo abbia detto prima in qualche intervista Spielberg non poteva assolutamente conoscere quest’episodio. Però… “tu porti il nome di un cane?” Bellissimo!

Per quanto riguarda il lato materno della famiglia, Fred e Bernice Hart sono arrivati in Canada dal Montana agli inizi del ‘900. Lì hanno avuto cinque figli: Ralph, Elmer, Marjorie (e sappiate che per me questo nome rimarrà sempre legato a Marion Zimmer Bradley), Doris e Neva, nata nel 1925. L’area era assolutamente selvaggia, e come stupirsene? Se poco più di trent’anni fa gli abitanti di Caroline non raggiungevano i 400, come doveva essere un secolo fa? Jack Browning per vivere faceva da guida ai topografi statali e, in seguito, ai cacciatori. Nel momento in cui Dewey è diventato abbastanza grande ha iniziato ad accompagnare il padre in questi viaggi. Però era un lavoro stagionale. Il resto del tempo Dewey lo trascorreva nel circuito dei rodei, dove guidava i pickup usati per fermare i cavalli imbizzarriti mentre i cavalieri finivano a terra in modo sicuro.

Caroline, Alberta

La sua relazione con Neva è stata messa a dura prova quando lei per un paio d’anni è andata a lavorare a Calgary, ma lui non ha mai smesso di scriverle e nel 1947 si sono sposati. Dewey aveva 25 anni, Neva 22. Dal padre di lui hanno comprato 160 acri di terra, espansi con gli anni fino ad arrivare a una proprietà di 325 acri. Un paio di volte pure loro hanno pensato di spostarsi negli Stati Uniti. La prima volta poco dopo il matrimonio ma il Wyoming, dove si erano recati per rispondere all’invito di un parente di Neva, non è piaciuto a Dewey. La seconda volta nel 1950, dopo essere stati invitati da altri parenti nel Montana. In questo caso avevano pure avviato le pratiche per il cambio di cittadinanza ma le hanno sbagliate. Messi di fronte alla scelta se ripresentarle nel modo corretto o rinunciare hanno rinunciato per insofferenza nei confronti della burocrazia. Mi sembra di vedere mio padre!

Wade Browning, il primogenito della coppia, nasce dopo otto anni di matrimonio, nel 1955. Sua sorella Dena nasce tre anni più tardi. Infine, il 18 giugno del 1966, nasce Kurt, quando ormai sua madre ha superato i quarant’anni. Ora è piuttosto frequente che una donna abbia figli a quell’età. Quando, quasi otto anni fa, ho fatto i miei corsi di preparazione al parto, ero una delle future mamme più giovani, ed ero sui 34-35 anni. Ma quando, nel 1967, mia suocera era incinta di mia cognata, a 28 anni, il dottore le ha scritto sulla cartella “primipara attempata”. Che gentilezza! Che Kurt fosse stato una specie di incidente di percorso lo avevo sospettato anche prima che lo confermasse lui stesso, anche se non potevo immaginare l’insolito dettaglio che è stato concepito durante una lunga battuta di caccia. Tifo per un cowboy, e l’ho scoperto solo da poco.

Kurt Browning in Christmas for Cowboys, un esercizio dedicato al padre Dewey.

In realtà il cowboy era il padre ma quello è l’ambiente in cui è cresciuto Kurt, anche se pure lui ha avuto bisogno di qualche tempo per capirlo. Per lui il padre era semplicemente quello, suo padre, e il piccolo ambiente di Caroline era quello che conosceva. Spazi sterminati ma poca gente e una vita decisamente libera. Giusto per dare un’idea il suo migliore amico – e vicino di casa – abitava a un miglio e mezzo di distanza. Quando ha iniziato a viaggiare con il circuito di pattinaggio i suoi orizzonti si sono allargati notevolmente, facendogli scoprire cose di cui non sospettava neppure l’esistenza. Non ha mai dimenticato le sue origini però, cosa di cui sono felice. Rinnegare il passato non è una cosa che mi piace particolarmente.

Billy Crystal e Jack Palance in Scappo dalla città. La vita, l’amore e le vacche

Visto l’ambiente in cui è cresciuto non c’è da stupirsi se è sempre stato circondato dagli animali e ha avuto il suo primo cavallo a quattro anni. Era sempre a contatto con la natura, cosa non sorprendente visto dove abitava e quale era il lavoro del padre, da cui ha imparato abbastanza presto a distinguere le orme degli animali e a seguire le tracce. Una volta, insieme al suo amico, si è trovato protagonista di una scena simile a quella vissuta da Billy Crystal in Scappo dalla città – La vita, l’amore e le vacche, quando ha dovuto collaborare alla nascita di un vitello. Solo il sistema adoperato era un po’ diverso, visto che loro hanno impiegato una corda e un bastone da hockey. Kurt è sicuro di essere l’unico campione del mondo di pattinaggio artistico a poter dire di aver vissuto questo genere di esperienza, e sospetto che abbia ragione. Immagino che quel genere di vita libero da costrizioni, con i padri spesso via e la possibilità di fare tutto quel che volevano, come costruirsi una struttura per fare salto in alto, lanciarsi sulle discese ghiacciate con le loro biciclette o nascondere alcune copie di Playboy nei boschi e ritrovarsele mangiate dai porcospini, abbia contribuito a sviluppare la sua vitalità e il suo spirito d’indipendenza. Doveva usare la sua immaginazione e avere fiducia in se stesso. Non sapeva cosa fosse il pessimismo ed era animato da un’insaziabile curiosità.

Ha iniziato a pattinare a soli tre anni, in una specie di laghetto ghiacciato di fronte a casa. Su questo, sulle piste di pattinaggio all’aperto, su fiumi e laghi, dovrò tornare in futuro. Il laghetto comunque era usabile “solo” quattro mesi all’anno, poi il ghiaccio si scioglieva. Brrr! Tre anni più tardi hanno costruito la Caroline Arena, con la collaborazione come volontario anche del padre. Ora quella struttura, opportunamente rimodernata, si chiama Kurt Browning Arena. Questo video è di molti anni dopo, ma visto che è bello lo inserico lo stesso.

Come suppongo la gran parte dei bimbi canadesi Kurt voleva giocare a hockey. La passione non deve essergli passata visto che nell’autobiografia si preoccupa di farci sapere che era un giocatore passabile grazie alla sua rapidità, e che era in grado di sgusciare fra i giocatori avversari e arrivare alla porta prima ancora che loro si accorgessero di quanto stava accadendo. Se avesse potuto avrebbe giocato a hockey giorno e notte. Anche Stefan Edberg da bambino sognava di diventare un giocatore di hockey e questo sogno, insieme al fatto di essere nati entrambi nel 1966 e di essere diventati i migliori nella loro disciplina è una delle cose che accomuna coloro che per me sono i due atleti più importanti di sempre.

Stefan Edberg

Per poter far trascorrere al figlio più tempo possibile su ghiaccio Neva Browning lo ha iscritto a hockey e a pattinaggio artistico. La mamma di Stefan invece lo ha dirottato sul tennis perché suo figlio era magro come un grissino e aveva paura che si facesse male. Benedette mamme!

Forse se fosse stato di costituzione un po’ più massiccia Kurt avrebbe proseguito nell’hockey, anche se qualsiasi sport aveva il potere di entusiasmarlo. Il momento di svolta è arrivato a 11 anni, quando Karen McLean, la sua allenatrice, ha detto ai suoi genitori che lui aveva davvero delle ottime potenzialità ma che per poterle sfruttare nel modo migliore avrebbe dovuto seguire delle lezioni aggiuntive a Rocky Mountain House, a un’ora e mezza di macchina da casa. L’affermazione è arrivata dopo una gara nella “vicina” cittadina di Lacombe, conclusasi con il suo trionfo, o almeno “I triumphed” è ciò che scrive lui. Kurt non fornisce altre informazioni, quindi io mi limito a riportare quanto dice. La gara di Lacombe l’aveva comunque già citata proprio in apertura del primo capitolo. Suppongo fosse un’edizione precedente visto che dichiara di essersi classificato terzo – su sei concorrenti – nella competizione pre-juvenile dello stato dell’Alberta, ma siccome i dettagli che fornisce sono molto scarsi non posso giurarci. E poi in entrambe le occasioni ha dichiarato che aveva undici anni. Mmmm, forse sono io che non capisco ma qualcosa non mi torna.

Comunque da come si è svolta la gara terzo non è un cattivo risultato, tutt’altro. “Did you ever feel that you couldn’t breathe, no matter how you tried?” sono le parole, al di là dell’introduzione di una cugina, che aprono il libro. Gli sembrava di non riuscire a respirare, e il suo cuore batteva all’impazzata mentre lui, fermo in centro alla pista, si chiedeva quanto tempo ci volesse per far partire la musica. A vederlo sembrava quasi sempre tranquillo, rilassato, ma cosa gli passava in testa in quei momenti? Cosa, prima della gara? E cosa, anche durante la gara? Noi vediamo gli atleti eseguire tutti quei movimenti incredibili, ci lasciamo trasportare dalle emozioni, e naturalmente non pensiamo a cosa possono provare loro. Pensano, anche quando si lasciano trasportare dalla musica. Kurt ha certamente pensato troppo, e al momento sbagliato, nell’occasione per lui più importante. Ora la cosa conta davvero poco, nessuno di coloro che hanno seguito la sua carriera lo giudica meno bravo, o meno influente, solo perché gli manca la medaglia olimpica. La vita ha preso un’altra strada, ecco tutto. Si può sbagliare, e si può pure provare a rimediare.

Oksana Baiul alle Olimpiadi del 1994

Oksana Baiul nell’esercizio che le ha donato l’oro olimpico nel 1994 ha inserito la combinazione negli ultimi elementi del programma libero. Evidentemente era atterrata sbilanciata sul primo salto di quella che sarebbe dovuta essere la sua combinazione e non l’aveva fatta per non cadere, poi aveva rischiato di dimenticarsene e se ne era ricordata giusto in tempo per battere di misura Nancy Kerrigan. E quello non è l’unico caso di esercizio cambiato durante lo svolgimento dall’atleta che lo stava eseguendo. Lo ha fatto pur Browning, ma del caso più famoso ne parlerò più avanti. La cosa buffa è che ha iniziato proprio così, improvvisando, ma non lo ha fatto apposta.

Ha provato il programma di Lacombe, quello che gli ha donato il terzo posto, una sola volta, visto che il suo allenatore (o allenatrice? in inglese coach è invariabile) lo aveva assemblato solo all’ultimo momento. Erano solo 90 secondi, ma non è riuscito a ricordarlo. Ha iniziato a pattinare e a divertirsi, ha fatto una trottola e a quel punto si è reso conto di non ricordare cosa dovesse fare dopo. Sentendosi in colpa e non volendo rovinare lo spettacolo agli spettatori ha deciso di pattinare un po’ in circolo sperando che gli tornasse la memoria. Visto che non è successo ha deciso di fare un Axel, tanto non lo aveva ancora fatto, e gli spettatori hanno apprezzato. Poi ha inserito un’altra trottola. Il primo di molti programmi coreografati da Kurt Browning, anche se gli spettatori dell’epoca non potevano saperlo. Una creazione per un solo spettacolo, quello. Browning è completamente folle, nel senso buone del termine, e dopo aver letto la sua autobiografia capisco meglio come ha fatto in seguito a fare quel che ha fatto e mi è ancora più simpatico.

Torniamo alla storia. Le lezioni di pattinaggio si svolgevano sia prima che dopo le lezioni scolastiche, il che significa che per cinque anni la station wagon dei genitori è diventata la sala da pranzo per tutti i pasti, colazione compresa, e pure lo studio dove faceva i compiti. Con gli anni le competizioni sono diventate più importanti, i viaggi si sono allungati e l’ora di alzarsi al mattino è diventata qualcosa che per me, che amo dormire al mattino, sarebbe stata devastante.

Karen McLean è stata la prima vera coach di Kurt. Prendeva i ragazzi sul serio, ed è stata capace di fargli capire come pattinare non sia solo uno sport da ragazze. Leggendo opere come Figure Skating’s Greatest Stars di Steve Milton o Figure Skating. A History di James Hines ho scoperto che alle origini il pattinaggio di figura – e ancora non c’erano o quasi i salti – era ritenuto uno sport molto virile, adatto agli uomini e non alle signore. Ne parlerò in futuro, perché la cosa è divertente oltre che interessante. Le discipline sono quattro: individuale maschile, individuale femminile, coppie di artistico e danza. Ce ne sono altre dall’importanza molto minore, e che non sono presenti alle competizioni dove vengono praticate queste quattro, ma anche di questo parlerò in futuro. Il fatto che ci sia la danza su ghiaccio è il motivo per cui nelle varie categorie di questo blog ho inserito il pattinaggio e non il pattinaggio artistico. Con quest’ultima definizione la danza sarebbe rimasta esclusa, e a me piace troppo. Ogni disciplina ha caratteristiche che la rendono unica e affascinante, comunque concordo sul fatto che è uno sport che esalta il corpo degli uomini e la loro espressività.

Kristi Yamaguchi

La McLean riteneva il pattinaggio artistico uno sport adatto anche ai ragazzi, era piena di energie e sapeva rendere tutto divertente e importante. È stata lei a insegnargli a fare i Salchow, anche perché era convinta che lui fosse in grado di farli e lui non voleva deluderla. E sempre Karen gli ha presentato la sua unica partner di gara, Michelle Pollit. Mi spiace che Kurt non si soffermi abbastanza su di lei. Per esempio non spiega come mai abbiano smesso di fare coppia. Non che io mi lamenti, magari sarebbero diventati una bellissima coppia di danza, ma visto quello che ha fatto lui nell’individuale maschile il suo percorso va bene così. È solo curiosità. È lei che ha smesso di pattinare o lui che voleva concentrarsi sull’individuale? Dopo in Mondiale del 1990, nel quale si è classificata quinta nelle coppie di artistico e quarta nell’individuale femminile, Kristi Yamaguchi ha abbandonato il suo partner di coppia, Rudy Galindo, con grande dispiacere di lui, per concentrarsi solo sulla gara femminile. Disputarne due era un dispendio di energie enorme, così ha fatto la scelta che l’ha portata a diventare campionessa del Mondo l’anno seguente. Magari è stata Michelle a volersi concentrare sull’individuale visto che anche lei partecipava a due gare. Non è una cosa fondamentale, ma mi sarebbe piaciuto saperlo.

Kurt e Michelle hanno partecipato a diverse competizioni di danza, sempre scarrozzati dai genitori Browning, arrivando anche a vincere la gara di danza dello stato dell’Alberta nella categoria pre-juvenile, mentre nel 1979 sono arrivati secondi nella categoria novice. Nello stesso periodo, quando aveva undici o dodici anni, Kurt ha conosciuto Michael Slipchuk, ma visto quanto mi sono dilungata di lui parlerò in un’altra occasione. Intanto pubblico un ritaglio di giornale, purtroppo frammentario, in cui mi sono imbattuta di recente.

Browning Pollit

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